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Prima del redditometro esigiamo lo Sperperometro dello Stato Italiano

Qualcuno qui in sala conosce la storiella del figlio di Marx?

Karl Marx era un vecchio mandrillone. Si dice saltasse addosso a qualunque donna ci stesse (poche, per la verità, comunque è l’intenzione quella che conta…). Una di queste fu la sua servetta. Sì, perché il teorico massimo dell’uguaglianza sociale non si è mai peritato di tenere in casa una dipendente immaginiamo mal pagata, considerate le ristrettezze economiche della famiglia, che sbrigasse le faccende domestiche al posto loro.

Fatto sta che durante uno di quelle sveltine fatte in piedi, contro lo stipite della porta, mentre la legittima consorte era assente oppure distratta, compiuta, c’è da credere, tenendole una mano premuta sulla bocca affinché non le scappasse un fiato, la giovane rimase ingravidata.

Marx non poteva permettersi, per ragioni economiche ed etiche, di mantenere il figlio della colpa e così, nove mesi dopo, fu il buon Engels ad assumersene la responsabilità, sempre pronto, coi soldi forniti dalle industrie paterne, a correre in aiuto alle intemperanze del sodale.

Il figlio di Marx cognomato Engels in età adulta fu uno dei fondatori del partito laburista inglese, ossia il massimo partito riformista britannico. in pratica, già il figlio dei due autori del Manifesto del Partito Comunista si era disamorato dell’idea di un partito rivoluzionario, preferendole la via di innovazioni graduali ma concrete, piuttosto che utopiche e irrealizzabili (se non a costo di un bagno di sangue, come nell’esperienza sovietica, per esempio).

Le vicende politiche italiane hanno invece seguito un diverso filone: l’Italia ha avuto il più grande partito comunista occidentale, che si è presto concettualmente pappato l’intera opposizione allo strapotere centrista.

Tuttora nel Belpaese, quando si parla di qualcuno o di qualcosa “di sinistra”, si tende a identificarlo col comunismo (a 35 anni ormai dalla caduta del Muro di Berlino…).

Il fatto di aver avuto un partitone di stampo vetero-marxista, anziché social-democratico come nelle altre nazioni, ha avuto lo strano e controintuitivo effetto che da noi si fatica ancora otto ore filate se va bene, non esiste lo stipendio minimo, i salari sono fermi da trent’anni.

La sinistra italiana, da quando la classe operaia è un po’ in calo, si è da anni trasformata in un’organizzazione a tutela dei lavoratori dipendenti. Le partite iva sono notoriamente mal viste, più che altro per sottaciuti retaggi ideologici. Una battaglia contro l’evasione fiscale, quindi, è da sempre patrocinata da gauche italiana.

Notizia recente è che la destra ora, malgrado alcuni tentennamenti, ha deciso anch’essa di cavalcare questo genere di iniziativa. Del resto il piatto è ricco: si calcola che l’evasione nostrana ammonti a quasi mille miliardi di euro l’anno.

Certo che farebbero comodo a qualsiasi governo. Soprattutto quando non sa che pesci prendere.

Ma un’operazione del genere, riscuotere cioè i contributi mancanti senza aver prima abbassato le imposte, ci sembra più che altro un’azione di pura brutalità tributaria.

Quello tra lo Stato Italiano e i suoi cittadini è sempre stato un gioco losco: da una parte lo Stato che impone balzelli sempre più vampireschi, presupponendo di trovarsi davanti dei cittadini (almeno coloro che se lo possono permettere) che cercheranno di guadagnare in nero più che possono, dall’altra parte c’è un popolo che, trovandosi davanti uno Stato che si mangia la gran parte dei profitti senza dare niente in cambio o quasi, pur di sopravvivere si organizza come può, possibilmente esentasse.

Se si abbassano le tasse a un sano 30%, per esempio, poi si potrà pretendere, come fanno gli altri paesi, il massimo rigore, fino ad arrivare a punire l’evasore con la galera. In caso contrario, se cioè lo Stato è il primo a rubare, sarà difficile riuscire a spezzare un tale annoso circolo vizioso.

Noi, intanto, continuiamo a invocare, al posto dell’Unione Europea, gli Stati Uniti d’Europa: una federazione di Stati amministrati da una capitale e da linee guida uniche, con controlli e disposizioni uguali per tutti. Solo questa potrà essere la salvezza dell’Italia e della locale Agenzia delle Entrate: essere finalmente deitalianizzata.

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