Giorno 7, mesesettimo
Anno 76 Okay On
NOTIZIARIO CANALE 6, EDIZIONE DELLA SERA
(FINALMENTE FRUIBILE ANCHE PER VIA TELENEURALE)
Conduce l’immancabile J.J. Aloysius. La gente si sente rassicurata da quel suo globish pronunciato con una dizione pressoché ineccepibile, come dall’inappuntabile nodo della cravatta optical che gli pende giù dal collo. Il tono è misurato, seppure non privo di picchi di attutita euforia.
Più che un annuncio, il testo che gli scorre sul gobbo suona come un proclama propagandistico, benché non per questo debba apparire per forza di cose insincero.
«Concittadini del Mondo Unito, la splendida giornata corrente va ormai a concludersi, ed è un onore per il qui presente essere stato chiamato a riassumerla per chi gentilmente sintonizzato. Oggi, come tutti sapete, si festeggia il cosiddetto “Compleanno Convenuto” o “Gran Genetliaco” o “Big B-day”. Ricorre cioè la data della primissima apparizionedi Mister Okay sul nostro pianeta. 76 anni esatti da che Mister Okay, da provenienza tuttora ignota, atterrò tradi noi, irradiando da allora la sua infinita potenza sull’intera umanità alla stregua di un secondo sole.»
La regia intanto accompagna alle parole di J.J. Aloysius alcuni filmati d’epoca. Perlopiù file mov o MP4 smangiati dal tempo che testimoniano una serie di imprese attraverso le quali Mister Okay si presentò al mondo: Mister Okay che con una spallata deraglia un treno in corsa un attimo prima che si scaraventi contro uno scuolabus rimasto in panne proprio a cavallo dei binari, Mister Okay che con la sola forza del pensiero fa implodere i tre megatoni di una bomba nordcoreana sospesa sopra gli oceani, Mister Okay che congela lo Stretto di Bering con il suo soffio assiderante, eccetera.
Non può ovviamente mancare alla lista il documento più importante di tutti, quello rimandato in onda così tante volte negli ultimi decenni da essersi stampato nelle teste di noi terrestri come una traccia mnestica irresettabile, né più né meno del viso sorridente di nostra madre: sto parlando di quando la cinepresa di un turista bengla riuscì a carpire, anche se solo per pochi secondi, il preciso momento in cui Mister Okay comparve la primissima volta. Le immagini sono sgranate e in gran parte erose dal tempo, specialmente ai lati dell’inquadratura, nonostante i ripetuti tentativi di restauro.
Il cineamatore sta riprendendo la propria allegra famigliola raccolta al centro dell’inquadratura. Si trovano a Castle Plaza, nel pieno downtown di Turin City, presso l’attuale Demanio Interstatale Subalpino. Sta zoomando sul fortilizio alle loro spalle che dà nome alla piazza, quando un improvviso bagliore manda in una breve sovraesposizione il videonastro. Si sarebbe poi saputo che lungo tutto il 45° parallelo, per l’intera sua estensione, si era notato in quel momento uno strano corpo luminoso staccarsi dalla volta celeste e fendere in celere discesa la distanza che separa cielo e terra.
Differito di una frazione di secondo, segue un pauroso boato, che riempie l’aria.
Ad aver provocato quella luce abbacinante è stata la collisione di Mister Okay con l’atmosfera terrestre, il fragore invece è dovuto al momento in cui il grave in caduta libera rompe il muro del suono. Lo si capisce non appena, un attimo dopo, la videocamera uppa di scatto alla ricerca
delle cause di tutto quel mishmash e coglie un corpo avvolto da un fuoco azzurrognolo precipitare a perpendicolo verso il suolo sottostante.
Per quanto tenti di frenare la propria corsa a qualche decina di piedi dall’impatto, l’atterraggio è incrashante. Si skillerà dopo, con gli anni, in discese più dolci.
Al brusco contatto con il suolo un piccolo cratere si crea sotto i suoi piedi, tra i ciottoli della pavimentazione stradale, accompagnato da un nuvolone di fumo che si solleva da terra. L’onda d’urto abbatte alcuni alberelli piantati nel raggio di qualche decina di iarde, fa sgretolare come calcina la superficie del lato ovest del vecchio castello che insiste nel centro della piazza.
Si intuisce che è una scossa tellurica di media potenza a far ondeggiare per qualche secondo le immagini prima che la videocamera si abbassi di colpo, a filmare la punta dei sandali del cineamatore. Poi, un ultimo guizzo. Le mani tremanti riportano l’apparecchio davanti agli occhi, per testimoniare il prodigio: eccolo, Mister Okay! Ripreso a una distanza massima di una quindicina di piedi. Si guarda in giro con un’espressione incerta e divertita assieme. Distante, alle sue spalle, si intravede la gente presente in Castle Plaza fare pian piano ritorno, richiamata dalla curiosità, dopo essere stata messa in fuga da quell’urto impressionante.
L’obiettivo stringe su Mister Okay. Fermo immagine.
Lo si può ammirare distintamente nella sua mise originaria, quella che mantenne per i primi cinque o sei anni.
Non è poi molto diversa da quella corrente, come tutte quelle intercorse tra la prima e l’ultima, quanto a taglio, disposizione dei colori, componenti, foggia del mantello.
Cambia il materiale. Quella che indossa nella ripresa amatoriale sembra fatta di mussolina, quella che porta adesso è sottilissima, agglutinata al suo corpo atletico come una seconda pelle. L’unica aggiunta che salti all’occhio rispetto ad allora è la scritta a caratteri cubitali distribuita sopra gli ampi pettorali: Mr Ok.
Anche l’aspetto non è mutato granché, malgrado la quasi ottantina d’anni di differenza: stesso fisico altissimo e prestante, stessa capigliatura a schiaffo, stessa mascella prominente, stesso sorriso accecante. Giusto una stria biancastra in più, che comincia a spolverargli le tempie, i
fianchi appesantiti, appena appena, lo stesso vale per lo stomaco e le ganasce. Ma tutto questo non fa che renderlo più maturo e fascinoso agli occhi di legioni di omo-eterofans assortiti.
J.J Aloysius intanto prosegue la telecronaca della giornata, mentre allenta, pure se di poco, il nodo che gli stringe il pomo d’Adamo.
«Il popolo di Mister Okay si è spontaneamente riversato nelle strade sin dalle prime ore della mattina, intrattenendosi sino ad ora, ovunque, dall’Eurasia alle Colonie Galleggianti. Un raduno di miliardi di persone dislocato per l’intero globo apposta per festeggiare il proprio beniamino. Migliaia di assembramenti umani che sembravano fare a gara tra di loro per attirare l’attenzione di Mister Okay, nella speranza di essere i fortunati a cui il nostro andasse a far visita.»
Le immagini mostrano le Main Street delle principali capitali mondiali pavesate a festa. I marciapiedi schiumano di folle giubilanti. Alle diverse latitudini ogni singolo gruppo etnico acclama il Nostro secondo le proprie usanze: in Occidente pupazzoni gonfiati a elio a flapflappare quaranta piedi sopra le teste dei partecipanti, in Oriente dinoccolati Tao-tieh che si snodano tra la folla, fendendola con le loro enormi teste da dogghi ghignanti, i giochi pirici a crepitare nel cielo dal crepuscolo in poi. L’aria invasa dalle risate di gioia, dalle grida di incitamento a Mister Okay, dai rulli di rototom, dalle trombe e dai mortaretti. A Salvador de Bahia l’impressione è quella di un carnevale
fuori stagione con grandi carri allegorici che riproducono in cartapesta le fattezze semoventi di Mister Okay in scala 10:1. Ad animare la fiumana di bahiani un disc-jockey con una mantellina addosso, gli occhialoni da sole con le lettere Mr Ok in rilievo sopra la montatura, che da dietro la sua postazione remixa dal vivo Our savior, la superhit internazionale del momento. «If you’re troubled, who you pray?» inneggia il disc-jockey. «Just Mi-iiister O-kaaay!» risponde il pubblico a una sola voce.
«Non si può dire che il festeggiato non si sia dato da fare: nel breve arco di una mezza giornata è riuscito a toccare gran parte dei punti geografici in cui il maggior numero di persone lo reclamava. Suoi passaggi sono stati documentati presso il Taji Mahal, il Monte Rushmore, dove per qualche minuto si è appollaiato scherzosamente sul volto inciso nella pietra che lo ritrae, recentemente aggiunto alla sinistra di Lincoln, dentro la piattaforma in orbita geostazionaria Hawking’s Wings, intrattenendosi a glugluare il tè delle cinque spaccate a gravità zero con l’equipaggio di bordo, sul Monte Everest in compagnia della spedizione cinese inerpicatasi sin lì per verificare l’attuabilità del progetto “Beijing Close to the Sky” e in altri significativi punti planetari.»
Qui, a conferma del testo scandito dalla voce impostata di J.J., c’è un serrato montaggio con tutte le comparsate del Nostro in giro per l’intero globo terracqueo. Nella carrellata di immagini, quella che più spicca è quando l’eroe in mantellina si avvicina alle coste del Maine cavalcando
una balenottera azzurra, che nuota a pelo d’acqua. Ritto sul dorso verrucoso dell’imponente cetaceo, Mister Okay sventola un buffo cappellone da cowboy, mentre un ripetitivo incitamento gli esce altisonante dalla bocca tumida: «Giddàp! Giddàp! Yeee-ooh!». Il bestione sotto di lui sembra fargli le fusa come un gattino.
«Neppure quest’anno Mister Okay ha poi mancato di offrire un breve siparietto comico a uso dei numberosi seguaci: è successo presso il distretto di Newer York, zona suburbana…»
Si vede Mister Okay planare sopra le teste di una nutrita popolazione delle periferie. Quando lo vedono scendere dal cielo vanno ai matti: non smettono di clapclapparlo.
Sinché la folla non si azzittisce, di colpo. Avviene quando Mister Okay scende a sufficienza perché i loro occhi notino quella specie di enorme rete a strascico che regge agevolmente con una mano, tra le cui maglie si può notare intrappolata una mezza dozzina di strani figuri dressati di scuro. «È una banda di scassinatori» spiega il loro eroe, sospeso a una decina di piedi sopra la strada affollata. Urla perché la gente là sotto afferri le sue parole: «Li ho pescati in giro per le vostre case, mentre voi eravate qua in strada ad attendermi. Che cosa vi insegna tutto questo?». Segue una breve pausa, carica di suspense: «Mai lasciare le vostre proprietà incustodite!» termina infine, tutto d’un fiato.
Il popolo di Mister Okay replica con scalmanata esultanza, che lui sembra assimilare come si trattasse del suo primo nutrimento. Dopo di che, sfoderando il suo sorriso d’avorio, impugna la cima della rete anche con l’altra mano e inizia a farla roteare con un moto circolare uniforme, sino a quando la lascia andare, in direzione della baia dell’Hudson, a una cinquantina di miglia di distanza da dove lui sta volando a punto fisso. Poi si volta a favore di macchine da presa, scopre il suo radioso sorriso, uppa il pugno destro da cui, lentamente, solleva il pollice. Ok!
Una deflagrazione di flash. Una gragnola di clic, pollici che si sbrigano a pigiare l’apposito tasto per immortalare il ridondante gesto.
L’anno scorso per questa ricorrenza aveva “sacrificato” un commando di miliziani con mire terroristiche nel Corno d’Africa, quello ancora prima dei golpisti centramericani.
Ad annunciare l’ammaraggio della rete laggiù in fondo un tonfo sordo che si propaga nell’aria immota, seguito da un unanime schiamazzo proveniente da tutto quel pubblico raccolto qualche spanna sotto le sue uose dal colore sgargiante, se possibile ancora più chiassoso di poco prima.
«Come da consuetudine in questo momento, ore 23 del nostro meridiano, Mister Okay sta dando il saluto di fine giornata all’umanità dal medesimo luogo in cui si manifestò inizialmente: Turin City, Castle Plaza.»
Stacco. Ora le immagini sono in diretta. Mister Okay poggia gli stivali dentro quello stesso cratere creato dalla sua prima caduta verticale su questo pianeta, che la municipalità ha pensato bene di evidenziare refillandolo con una colata di platino e affiggendovi un cartello ricolmo di
parole ispirate.
L’applauso generale va scemando. Anche il commentatore da studio si azzittisce. Mister Okay fa capire che è venuto il momento del discorso conclusivo, il quale, datelo pure per scontato, suonerà su per giù come tutti quelli che lo hanno preceduto, da settantasei anni a questa parte: «La Terra è il corpo celeste che amo! Fin dal primo giorno in cui mi venne assegnata quale mia novella patria, sette decadi, un lustro e un millesimo or sono, fin dal primo minuto secondo percepii le mie membra e la mia mente rigenerarsi sotto i cieli e sopra le superfici di questo vostro vecchio mondo che da così tanti anni oso chiamare anche mio. Fu allora che giurai a me stesso che avrei protetto e preservato con tutte le mie forze le acque, le terre, le catene montuose, le genti che insieme e da prima di me occupano e compongono il pianeta che ci è casa. E io, pur non essendone originario, mi sento come se ne fossi il figlio primigenio, il prediletto, il prescelto sulle cui spalle ricadono più responsabilità che per tutti voi. Oh terrestri, salutate… il Superterrestre. Qui, eretto al vostro cospetto. Miei amati fratelli adottivi, abitanti e figli di questa grande madre comune, che nulla adombri i vostri cuori, nulla offuschi i vostri pensieri e i vostri animi si radunino in un unico altisonante urlo di gioia fintantoché saprete che c’è M’stròchei a sorvegliare sulle vostre teste. Credete in Me, perché così facendo crederete in voi stessi!».
E l’urlo di gioia si leva, immancabile, dai dieci miliardi di umani, dai quattro canti della terra, dalle notti e dai mattini che la circondano. «Mister Okay! Mister Okay! Mister Okay!»
Mister Okay sorride, ringrazia con la mano, accenna un inchino, riparte con un’accelerazione superluminale.
Neanche il tempo di abituare l’occhio ed è già sparito nel firmamento, puntino indistinguibile, stella tra le stelle.
se questo primo capitolo ha acchiappato la tua attenzione e vuoi sapere come prosegue il romanzo, vai qui