Chiamiamolo OmeRobot.
L’intelligenza artificiale che domina la scrittura.
Conoscete il celebre paradosso per cui un branco di scimmie rinchiuse in una stanza a battere a caso sui tasti del computer prima o poi, per ragioni puramente statistiche, partoriranno l’Odissea?
Che cosa potrebbero fare dunque alcuni cervelloni elettronici programmati per scrivere frasi di senso compiuto una volta interconnessi? Riscrivere la Ricerca del tempo perduto? Ristampare l’intera produzione di John Dos Passos? O tutte le Vite di Plutarco?
No, no, molto di più. L’intelligenza artificiale non riproduce, produce. Non in futuro, già adesso. Chissà che riuscirà a fare anche solo tra un anno.
L’intelligenza artificiale, qui come in tutti gli altri campi creativi, sviluppa una propria estetica, consultando la scrittura altrui, esattamente cioè come hanno sempre fatto gli scrittori umani. Solo che quanto potrà mai leggere un lettore anche forte, fortissimo, e svelto, in una vita? Qualche centinaio di libri, se va bene? L’AI li può leggere tutti, almeno tutti quelli immessi in rete, e non in una vita ma in qualche frazione di secondo. Capite la differenza?
OmeRobot, chiamiamolo così, nasce perciò avvantaggiatissimo.
Gli ultimi umanisti a oltranza non mancheranno di rimproverargli la banalità delle trame e dei contenuti e la scarsa profondità psicologica nel tratteggiare personaggi e situazioni.
Ok, ok, concediamoglielo pure.
Ma avete mai letto che cosa scrivono gli scrittori in carne ossa? La maggior parte di loro, perlomeno?
Ormai è tutto pateticamente standardizzato. Scuole di scrittura che insegnano a essere tutti uguali, seguire tutti un certo svolgimento, servirsi tutti di una certa svolta in prossimità del finale, infilare tutti quanti gli stessi medesimi elementi nei propri scritti. Gli editori che ripetono se stessi e quello che hanno già pubblicato, cercando di confermare i pochi successi che gli hanno fatto alzare un minimo provento. Lo zoccolo duro di certi lettori babbei che leggono solo gialli, romanzetti d’amore, versioni facilitate di Baricco e quissimili quisquilie.
E allora? Che vi cambia a leggere qualcosa stilato in pochi secondi da una macchina addestrata? Siamo certi che non perderebbe di qualità, anzi. Sicuramente un software conosce meglio le regole grammaticali e sintattiche della stragrande maggioranza degli editor che abitano questo paese.
Ben venga allora la letteratura telematiche. Peggio di come va l’attuale mercato editoriale non può fare. Al massimo può rappresentare un’interessante siringata innovativa nel mondo paludato della scrittura nostrana.
Vederci descritti dall’occhio distaccato e glaciale, semi-olimpio, di un bot che finge di essere un essere umano. Vi pare poco?
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