L’unanimemente rimpianto Fabrizio De Andrè, professionalmente dedito alla difesa di qualsivoglia minoranza umana, in una delle sue canzoni più celebri, chissà perché, decise invece di scagliarsi contro la categoria dei nani, condannandoli come esseri gretti e impietosi per colpa di un ingeneroso pretesto anatomico: avere il cuore troppo vicino allo sfintere anale.
Com’è noto, la microsomia può manifestarsi per deficienze endocrine o alterazioni metaboliche: il risultato è pressoché lo stesso. La tassonomia medica distingue coloro che ne sono affetti in due grandi gruppi: i nani armonici e quelli disarmonici.
Col primo epiteto ci si riferisce a esseri umani di bassissima statura che, pur nelle loro misure lillipuziane, mantengono in tutto accettabili proporzioni tra le differenti sezioni del corpo, così da risultare simili a bambini mai cresciuti. Il secondo caso invece è quello anche indicato come nano Bagonghi (antonomasia che trae origine da un artista circense molto conosciuto nel XIX sec.). Si tratta di disturbi della crescita che sviluppano la complessione secondo ricorrenti asimmetrie: arti corti e arcuati, teste sovradimensionato, tratti del volto camusi e genitali subdotati (così da sfatare una celebre voce popolare).
In tutto questo – con buona pace del cantautore genovese – le capacità spirituali, o mentali, non subiscono in alcun modo detrimento da tali tare genetiche. Ne sia riprova l’assiduità con cui sovrani e belle menti amavano circondarsi di nani o frequentarli per un libero scambio di idee.
In passato infatti non vi fu regno né impero che non annoverasse cortigiani di piccola taglia.
Si dice che Ottaviano Augusto si tenesse sempre vicino un nano particolarmente preparato sotto il profilo politico e strategico, con il quale si consultava sovente sulle più delicate questioni di stato. Carlo III era lui stesso nano, proprio come Pipino, capostipite della stirpe dei Carolingi, non per nulla soprannominato “il Breve”. E lo era anche il sanguinario Attila, per non parlare del Bonaparte, la cui statura, in realtà, era tutt’al più sotto la media, senza però presentare i sintomi clinici del nanismo vero e proprio.
Il generale Tommy Thumb, l’ateleiotico prediletto da Barnum, fu convocato in udienza da tutti i regnanti d’Europa (compresi i Savoia), strinse più volte la mano al presidente Lincoln. Nonostante fosse minuscolo, la sua prontezza di spirito non difettava di grandezza: veniva spesso contattato niente meno che da Mark Twain, il quale amava trascorrere il tempo scambiando con lui piacevoli amenità su ogni aspetto contingente.
C’è poi la fortunata storia di Nicolasito Pertusato, che, partito dalla provincia piemontese, allora dominata dagli Spagnoli, finì presso la corte di Filippo IV, dove gli capitò di finire nel quadro più famoso al mondo, Las Meninas di Velázquez, dove appare con le sue fattezze di eterno bambino mentre stuzzica un pastore tedesco disteso nell’angolo del dipinto.
Si può ricordare a tal proposito anche Petrucciani, un pianista jazz, morto prematuramente, che resta tra i prediletti dagli amanti del genere.
Guccini, ben più conciliante del collega genovese con i portatori del suddetto handicap, nella bella canzone Cencio, in cui ricorda un nano che portava quel nome conosciuto in gioventù nei bar del modenese, pone questa dolce domanda: “Chissà se hai poi trovato di dentro la tua vera altezza”.