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Il pontefice e il pachiderma

Quella che ci accingiamo a riassumere è una storia breve ma a suo modo clamorosa, che coinvolge due grandi personaggi, l’uno dal punto di vista storico e l’altro sotto il profilo volumetrico e ponderale.

Il primo dei due è niente meno che Leone X, un papa cruciale per la storia della Chiesa e della modernità: figlio niente meno che di Lorenzo il Magnifico, era un umanista oltre che un curiosone riguardo a ogni stramberia umana (e non nascondiamo che questo ce lo faccia sentire particolarmente affine). Amante delle belle arti e delle rarità, spese un patrimonio per dare ulteriore decoro a Roma, ingaggiando i maggiori artisti del tempo. Essendo perciò costantemente in bolletta, durante la sua vita gli capitò di suscitare addirittura un irreparabile scisma all’interno del mondo cristiano, quando, per far su dei soldi facili che andassero a finanziare le “grandi opere” del tempo, si inventò la famigerata vendita delle indulgenze, che fece tanto infuriare il ben noto frate agostiniano Martin Lutero. Ma questa è un’altra storia…

Il co-protagonista del nostro racconto è invece uno splendido esemplare di elefante bianco (quindi presumibilmente indiano, sottospecie tra i cui appartenenti l’albinismo è più diffuso) chiamato Annone.

I loro destini si incrociarono allorché il monarca portoghese, proprietario del bestione, decise di farne dono al recente neo-successore di Simon Pietro.

A tale evento è peraltro legata un’espressione idiomatica tuttora in voga: “fare il portoghese”, sta a dire far finta di nulla, oppure fare di tutto per non pagare, e deriva dal fatto che la corte leonina, così favorevolmente colpita dal bel presente, decise che in quella giornata qualunque portoghese passasse per Roma sarebbe stato spesato dalla previdenza pubblica per ogni esigenza che il soggiorno comportasse. Fu però soprattutto il popolo romano ad approfittarne: molti sudditi dello stato pontificio improvvisarono infatti falsi accenti lusitani pur di spassarsela a spese dell’amministrazione cittadina.

Per la verità Annone non era una strenna esclusiva: insieme a lui giunsero a Castel Sant’Angelo anche una coppia di leopardi e una pantera, pappagalli e tacchini (mentre l’imbarcazione che trasportava il rinoceronte naufragò lungo la traversata), ma tra tutti l’animale che ricevette fin da subito il più grande affetto, sia da parte della cittadinanza che di Sua Santità, manco a dirlo fu il candido gigante.

Annone era stato amabilmente addestrato prima di raggiungere il pontefice, tant’è vero che, non appena si ritrovò al cospetto di quest’ultimo, le cronache raccontano avesse ripetuto per tre volte l’inchino, prima di baciare le pantofole porporine di Leone X a punta di proboscide.

Come suoi custodi furono incaricati Raffaello e Pietro Aretino, tanto per capire il riguardo che il capo della cristianità riservava al pachiderma. Molte testimonianze di quegli anni lo descrivono come veloce ad apprendere e portato agli scherzi: amava spruzzare d’acqua gli astanti, si destreggiava in balli sontuosi e lunghe parate per le vie cittadine.

Purtroppo solo due anni dopo il suo arrivo morì a causa di un’angina (che immaginiamo estesa almeno quanto il suo colossale petto).

Il papa Medici, passato alla storia come pederasta, corrotto, simoniaco, depravato e diabolico, si era affezionato tanto teneramente al titano buono che si dice avesse versato calde lacrime di fronte alla sua ingombrante carcassa stesa a terra ormai esanime.

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