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LA GIGANTESSA TURCA

Si chiama Rumeysa Gelgi la donna più alta del mondo.

Misura ben 215 cm. Quasi quanto Mister Okay, tanto per dire, le manca poco più di mezzo metro. Sulla carta, potrebbe anche costituire per lui una buona sveltina, casomai fosse già patapumbato tra noi, su questa Terra. Piegando le ginocchia potrebbe quasi quasi farsela in piedi, appoggiati contro qualche sostegno. Anche se poi, a essere sinceri, forse la signorina non rientrerebbe tra le numberose conquiste del perennemente arrazzato ultrauomo.

L’elevata statura della recordwoman infatti è da attribuirsi a una rara sindrome, che, oltre a una rapida e smodata crescita, arreca al soggetto mento sfuggente, complessione asimmetrica, ingrossamento del collo, oltre a gravi disfunzioni delle strutture ossea e muscolare, come si può smicciare dalle foto che ne ritraggono l’aspetto, assimilabile a quello di certi carri allegorici. (In verità Mister Okay ha sì giaciuto almeno una volta con una partner freak. Quale? Sei curioso di saperlo?! Corri a preordinare il romanzo. Qui)

Gelgi è una turca. Non nel senso del cesso però, come qualche buontempone potrebbe fuori luogo malignare: viene infatti da Safranbolu, nella regione del Mar Nero. Per andare negli USA, dove lavora in ambito informatico, la compagnia aerea chiamata a trasportarla si è vista costretta a smontare mezza dozzina di sedili per accomodarla.

A parte futuri esseri plusdotati caduti dal cielo, sembra che la ragazza extralong davvero fatichi a trovare uno straccio di filarino. Forse si imbarazza ad accompagnarsi a chi le arrivi giusto giusto ad altezza cunnilingus (sebbene ciò rappresenti un’agevolazione erotica mica da poco). Ha anche problemi a relazionarsi con gli altri per colpa di una vita come la sua, menomata da tali condizioni cliniche.

D’altronde, la vita con gli spilungoni non è mai stata particolarmente tenera. Basti reflashare la vicenda del povero, povero Robert Wadlow, nato nell’Illinois, morto nel Michigan una ventina appena di anni dopo per via di un’infezione al piede trasformatasi in cancrena e poi in necrosi prima che lo stimolo del dolore riuscisse a risalire quei quasi tre metri d’altezza prima di raggiungere il sistema nervoso centrale.

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