La figura dello zombie, nell’immaginario horror del secondo dopoguerra, è una di quelle che riscuotono maggior successo né pare conoscere crisi. È forse perché quel gruppo di semimorti barcollanti e poco vigili ci ricorda da vicino le nostre città intasate di bravi cittadini mattinieri che si apprestano a raggiungere i loro posti di lavoro mal retribuiti?
Comunque sia, dai lenti morti viventi di Romero a quelli corridori di Lucio Fulci, da The walking dead al videogioco Plants versus Zombies (sino a una recente pellicola che, sulla falsariga dei vari Twilight, tenta addirittura di trasformare uno zombie adolescente in un personaggio romantico, noncurante del suo avanzato stato di putrefazione) lo zombie viene quasi sempre premiato da un notevole riscontro commerciale.
Ben sappiamo che la zombificazione nasce da una leggenda haitiana piuttosto fantasiosa. Ecco, in questo breve articolo ci interesseremo all’unico caso accertato della reale esistenza di uno zombie: il suo nome era Clairvius Narcisse.
Partiamo col dire che il termine deriva dal bantu nzumbe, fantasma. Nei riti vudù, importati nelle isole delle Antille dagli schiavi africani, il sacerdote, detto bokor, si diceva in grado di riportare in vita i morti e, mantenendoli in uno stato poco più che vegetativo, di farne suoi schiavi per missioni spesso cruente.
Proprio così sembrava essere accaduto a Clairvius: morì, almeno una prima volta, in data 2 maggio 1962 dopo un violento accesso febbrile, come da certificato medico emesso dall’ospedale pubblico di Deschapelles.
La salma del contadino quarantenne fu regolarmente esposta nella camera ardente per l’ultimo saluto da parte di congiunti, amici e conoscenti. Come da protocollo, fu poi adagiata nella bara. Fu officiato il funerale e, a seguire, il feretro fu debitamente tumulato nel camposanto locale. Tutto questo sotto gli occhi di almeno duecento testimoni complessivi. Che Clairvius Narcisse avesse definitivamente abbandonato questa valle di lacrime appariva pertanto certo.
Il fatto è che circa vent’anni dopo la sorella Angelina lo riconobbe impegnato a far spesa nello stesso supermercato in cui si era recata lei. Con un misto di sorpresa, spavento e gioia nel cuore gli corse incontro a braccia aperte.
Fatto ritorno tra l’affetto dei famigliari, l’uomo spiegò loro che subito dopo la morte era stato risvegliato dalla magia nera di un bokor che per un paio di anni lo aveva appunto asservito in qualità di factotum personale per qualunque tipo di mansione, anche le meno lecite. Il bokor era scomparso nel ’64 e con lui il suo sortilegio, cosicché il povero redivivo in tutti gli anni seguenti affermava di aver vissuto di espedienti e vagato per l’intera isola in cerca dei parenti.
Dopo un servizio della BBC si interessò al suo caso l’antropologo Wade Davis, il quale nel celebre saggio Il serpente e l’arcobaleno giungerà alla conclusione che Narcisse fosse stato drogato dal bokor con della tetrodotossina (il veleno che contraddistingue, ad esempio, il pescepalla o il rospo delle canne, usato, in dosi non letali, quale potente sostanza allucinogena) che gli aveva causato la morte apparente e, al risveglio, uno stato di incoscienza attiva simile al sonnambulismo, o all’ipnosi. Questo, in combutta con una soggezione psicologica esercitata dal suo “padrone”, aveva creato lo zombie.
Il rinato Clairvius Narcisse, dopo aver trascorso un insperato periodo di fama accademica e globale, rimorì poi qualche anno dopo, tra l’affetto dei suoi cari, che forse tuttora attendono speranzosi un’ulteriore ricomparsa, secondo il tipico detto haitiano: chi muore si rivede.